• via Luigi De Crecchio n.61
  • Telefono/FAX 0872/709963
Edit

Today, Barry’s is on the cusp of continued global expansion with over 100,000 members working out weekly in studios in over a dozen different countries.

  • privsa@admin.com
  • 212-695-1962

Commento a Cassazione, sez. lavoro, n. 11548/2020.

Assegnazione docenti alle classi. Violazione del criterio della continuità didattica. Lesione di un diritto soggettivo in capo al docente. Necessità. Esclusione.

Consultazione organi collegiali. Rispetto dei criteri dagli stessi formulati. Necessità. Sussistenza.

Potere esclusivo di gestione da parte del Dirigente scolastico ex art. 4 D.Lgs. 165/2001. Esclusione.

Assegnazione docenti alle classi senza il rispetto delle regole procedimentali. Illegittimità. Violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede. Sussistenza.

Assegnazione docenti alle classi. Un potere insindacabile? Un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione


***

La sentenza in commento interviene su una problematica molto diffusa, in quanto si ritiene generalmente che il Dirigente Scolastico abbia un potere insindacabile nell’assegnare i docenti alle classi, in quanto gestore dell’istituzione scolastica “con i poteri del privato datore di lavoro”[1].

Ciò determina spesso malcontento nelle scuole, trattandosi non solo di scelte non condivise, ma a volte anche irrispettose del criterio della continuità didattica o dell’anzianità di servizio, se non addirittura di carattere ritorsivo.

Ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. b) D. Lgs. n. 297/1994, il Collegio dei docenti “formula proposte (…) per la formazione, la composizione delle classi e l’assegnazione ad esse dei docenti”.

Analogamente, l’art.10, comma 4 D. Lgs. cit. prevede che il Consiglio d’istituto indica “i criteri generali relativi alla formazione delle classi, all’assegnazione ad esse dei singoli docenti”.

Allo stesso tempo, l’art. 396, comma 2, lett. d) D. Lgs. n. 297/1994 stabilisce che al personale direttivo compete “procedere alla formazione delle classi, all’assegnazione ad esse dei singoli docenti (…) sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di circolo o d’istituto e delle proposte del collegio dei docenti”.

Tali disposizioni in molte scuole sono andate in disuso, ritenendo al contrario alcuni Dirigenti Scolastici di avere la più ampia discrezionalità nell’impiego dei docenti e di poterli spostare a piacimento da una sezione all’altra, se non da un indirizzo ad un altro e – più recentemente- dall’insegnamento “su classe”, al “potenziamento”.

La giurisprudenza si è generalmente mostrata molto tiepida di fronte alle rimostranze più volte avanzate dai docenti, che si ritenevano ingiustamente penalizzati da scelte poco condivisibili, forse nel timore di alimentare un vasto contenzioso in subiecta materia e ritenendo comunque che la mancata assegnazione a questa o quella classe non fosse atto idoneo a violare un vero e proprio diritto dei docenti.

In passato la giurisprudenza amministrativa (cui era devoluta la giurisdizione sulle controversie relative al pubblico impiego) aveva censurato il mancato rispetto delle prescrizioni stabilite dalla normativa citata, ritenendo che il Preside o il Direttore Didattico avesse l’onere di attenersi ai criteri fissati dagli organi collegiali o quanto meno di motivare adeguatamente le ragioni per cui intendeva discostarsene.

Col nuovo riparto della giurisdizione, il Giudice del lavoro – attento ad individuare nel petitum sostanziale “il bene della vita” che si assume violato – ha in genere ritenuto l’insussistenza di un diritto vero e proprio in capo ai docenti, in ordine al rispetto dei criteri fissati dagli organi collegiali.

Si è così assistito- paradossalmente- ad un affievolimento della tutela del lavoratore, pur in caso di aperta violazione di norme di legge.

Dottrina e giurisprudenza si sono così interrogate su quali fossero sul piano civilistico i rimedi esperibili in caso di violazione di norme procedimentali o regolamentari da parte del datore di lavoro nel campo del pubblico impiego contrattualizzato, giungendo alla condivisibile conclusione che occorre far riferimento all’applicazione delle regole generali di correttezza e buona fede.

Per restare nel campo scolastico, la Suprema Corte già in passato aveva censurato l’attribuzione delle “funzioni strumentali” senza rispettare le scelte del Collegio docenti, accogliendo il ricorso di una docente che aveva presentato domanda per l’assegnazione di detta funzione, senza però che la medesima avesse dimostrato di aver diritto a tale assegnazione.

La Corte di legittimità aveva stabilito i seguente principio di diritto: “Nel rapporto di impiego pubblico contrattualizzato l’Amministrazione datrice di lavoro e’ tenuta al rispetto dell’obbligo di correttezza e buona fede, che puo’ specificarsi anche in regole procedimentali poste dalla contrattazione collettiva sia di comparto che integrativa, quali nella specie l’obbligo di motivazione della scelta del collegio dei docenti quanto all’assegnazione delle funzioni obiettivo ai docenti della scuola pubblica, obbligo non soddisfatto dal mero esito di una votazione segreta; la violazione di tale obbligo puo’ essere denunciato dal dipendente senza che su di esso gravi anche l’onere di provare che le determinazioni dell’amministrazione, ove fossero state rispettose di tali regole procedimentali, sarebbero state a lui favorevoli” (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 15 luglio 2011, n. 15618 – su questo sito, con nota dello scrivente https://www.dirittoscolastico.it/corte-di-cassazione-sentenza-n-15618-del-15-luglio-2011/

L’ordinanza in commento, proprio alla luce del precedente giurisprudenziale segnalato, ha dunque affermato il principio secondo cui il Dirigente Scolastico – pur nell’ambito dei suoi autonomi poteri di gestione del personale è tenuto al rispetto delle competenze degli organi collegiali.

Una pronuncia destinata a far discutere.

Avvocato Francesco Orecchioni