«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 4 – Settore pubblico – Docenti di scuola secondaria – Assunzione come dipendenti pubblici di ruolo di lavoratori con contratto a tempo determinato per mezzo di una procedura di selezione per titoli – Determinazione dell’anzianità di servizio – Computo parziale dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato».
La clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi.
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=205926&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=543128, nonché su questo sito: http://www.dirittoscolastico.it/wordpress/wp-content/uploads/Corte-di-giustizia-UE-VI-sez.-sentenza-20-settembre-2018.pdf
A sorpresa, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato compatibile con la clausola 4 dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato la norma nazionale contenuta nell’art. 485 del D. Lgs. n. 297/1994.
Sul punto, si era registrata una grossa apertura da parte della giurisprudenza (cfr., su questo sito, http://www.dirittoscolastico.it/corte-dappello-di-laquila-sentenza-n-407-2018-del-07-giugno-2018/ con nota adesiva dello scrivente), sebbene non mancassero pronunce di senso contrario, tanto da indurre la Corte di Cassazione ad emettere un’ordinanza interlocutoria sulla questione, rimettendo la causa alla quarta sezione per la trattazione in pubblica udienza (Cass. civile sez. VI, ord. n. 18867 del 16/07/2018)
La decisione che si commenta- oltre a giungere inaspettata- si pone in aperto contrasto con le osservazioni scritte elaborate dalla Commissione Europea (DC81278 del 1° febbraio 2018) che concludeva in modo diametralmente opposto rispetto alle determinazioni cui è poi pervenuta la Corte.
Ma soprattutto è destinata – come si vedrà- a creare non pochi problemi per il giudice nazionale, cui viene demandato di verificare in concreto se ci si trovi o meno di fronte ad una discriminazione.
- 1. La normativa nazionale. 2.Il criterio dei 180 giorni di servizio. 3. Le questioni aperte: a) il riconoscimento del servizio per il personale Ata; b) la ricostruzione di carriera nel caso di contratti fino al 31 agosto; c) il riconoscimento del servizio nei confronti del personale vincitore di concorso; d) il caso del personale che abbia già ottenuto il riconoscimento del servizio prestato nell’ambito della vertenza sugli “scatti di anzianità”- Il divieto della reformatio in peius e il contrasto col giudicato; e) la mancata considerazione, nel decreto di ricostruzione carriera, dei servizi inferiori ai 180 giorni..
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- La normativa nazionale.
Com’è noto, la normativa nazionale prevede- all’art.485 D. Lgs. n.297/1994- la possibilità per il personale precario, una volta ottenuta l’immissione in ruolo, di vedersi riconosciuto, a domanda, il servizio pre-ruolo.
Tale norma consente un riconoscimento solo parziale del servizio (per i primi quattro anni, per intero; solo dei 2/3 dell’ulteriore servizio), con una penalizzazione nella progressione stipendiale, basata sui cosiddetti “scatti di anzianità”.
L’art. 489 del citato d. lgs. precisa che “ai fini del riconoscimento” “il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione”.
Successivamente, il legislatore precisava che “il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale” (cfr. art. 11, comma 14, l. n.124/1999).
Nel procedimento di fronte alla Corte di Giustizia, lo Stato italiano osservava che la prestazione svolta dai docenti precari non poteva ritenersi equivalente a quella dei colleghi di ruolo, in quanto spesso i primi insegnano “svariate materie”, provvedono a mere “sostituzioni temporanee”, e sosteneva che nei loro confronti si applicava un diverso “computo del tempo”, facendo appunto riferimento alla possibilità di vedersi calcolato un anno scolastico intero, con un servizio di appena 180 giorni.
In questo senso, la mancata previsione di una clausola limitativa (qual è appunto quella del riconoscimento parziale del servizio eccedente i primi quattro anni) avrebbe determinato una “discriminazione al contrario” per i colleghi di ruolo.[1]
- Il criterio dei 180 giorni.
Appare opportuno soffermarsi sul criterio con il quale viene calcolato il servizio.
Il citato D. Lgs. conosce due diversi sistemi di calcolo a seconda delle tipologie di personale.
Per il personale Ata, analogamente a quanto disposto per i docenti dall’art. 485, l’art. 569 prevede il riconoscimento del servizio preruolo per intero per i primi tre anni (piuttosto che quattro), con la penalizzazione di un terzo per gli anni successivi.
Non è prevista per detto personale la possibilità di vedersi riconosciuto l’intero anno con un servizio di almeno 180 giorni.
La disposizione di cui all’art. 11 della l. n. 124/1999, si riferisce infatti al solo “servizio di insegnamento” .
Dunque, per il caso del personale Ata, le giustificazioni addotte dalla difesa erariale appaiono prive di fondamento.
Ma la riflessione che si impone è soprattutto un’altra.
E’ vero infatti che il docente si vede riconoscere un intero anno anche con un servizio inferiore[2].
E’ però altrettanto vero che i servizi inferiori ai 180 giorni non vengono valutati in nessun modo.
A differenza del personale Ata -per il quale si considerano tutti i servizi resi- per il personale docente il legislatore ha operato una scelta tutto sommato condivisibile.
Si è ritenuto che un docente, che si sia limitato ad insegnare per appena qualche settimana o per 2 o tre mesi in un anno, non maturi un’esperienza rilevante sul piano professionale.
Si ritiene viceversa che un docente che durante un anno scolastico[3] abbia lavorato per almeno 6 mesi, abbia maturato un’esperienza significativa, tanto da meritarsi la valutazione del servizio.
Non si tratta dunque- come ha sostenuto il governo italiano- di una normativa di favore nei confronti dei docenti precari, ma di un ragionevole compromesso che tiene conto dell’esperienza lavorativa acquisita, “abbonando” al massimo circa un paio di mesi di servizio, ma nel contempo omettendo di considerare quei servizi che non abbiano raggiunto la consistenza minima di 180 giorni per anno scolastico.
- Le questioni aperte.
a) il riconoscimento del servizio per il personale Ata.
Nessun dubbio sembra sussistere in ordine al fatto che la pronuncia in epigrafe non si riferisca al personale Ata.
Anzi, se la Corte ha ritenuto la disposizione di cui all’art. 485 compatibile con la clausola di non discriminazione in virtù del diverso “computo del tempo” col quale viene calcolato il servizio dei docenti ex art. 11, l. n. 124/1999, ragionando al contrario, nel caso del personale Ata la decurtazione del servizio all’atto della ricostruzione di carriera risulta ingiustificata e discriminatoria.
b) la ricostruzione di carriera nel caso di contratti fino al 31 agosto.
Analogamente, qualora il docente abbia contratti di supplenza annuale fino al 31 agosto, non appare lecita la decurtazione del servizio. Nel caso in cui il servizio reso comprenda sia supplenze annuali, sia supplenze “fino al termine delle attività didattiche” (30 giugno), il pregiudizio andrà verificato in concreto.
c) il riconoscimento del servizio nei confronti del personale vincitore di concorso.
Qualche incertezza si pone nel caso di ricostruzione di carriera nei confronti del personale vincitore di concorso.
Potrebbe infatti verificarsi la circostanza di un docente che dopo anni di precariato abbia ottenuto l’immissione in ruolo a seguito di concorso, oppure di personale inserito nelle GAE, in quanto vincitore di concorso[4].
In virtù delle argomentazioni addotte dal governo italiano e dalla Corte Europea sembrerebbe che la pronuncia in epigrafe si riferisca al [solo] caso di docenti non vincitori di concorso[5].
d) il caso del personale che abbia già ottenuto il riconoscimento del servizio prestato nell’ambito della vertenza sugli “scatti di anzianità”- il divieto della reformatio in peius e il contrasto col giudicato.
Il contenzioso seriale sviluppatosi negli ultimi anni sul tema del riconoscimento degli scatti di anzianità ha fatto sì che moltissimi docenti precari abbiano ottenuto l’integrale riconoscimento del servizio preruolo, con sentenza passata in giudicato.
Nell’emanare il decreto di ricostruzione carriera le scuole si limitano ad applicare pedissequamente la disposizione di cui all’art. 485, senza tener conto delle pronunce giudiziali.
In tal modo, si perviene all’assurda conseguenza di un peggioramento delle condizioni retributive del dipendente a seguito della sua immissione in ruolo….(!)[6], in violazione del principio del divieto di reformatio in peius della retribuzione.
e) la mancata considerazione, nel decreto di ricostruzione carriera, dei servizi inferiori ai 180 giorni..
Un ulteriore aspetto da tener in considerazione riguarda i periodi di servizio inferiori a 180 giorni che non vengono considerati ai fini della ricostruzione di carriera.
Come si è osservato supra, se è vero che la disposizione di cui all’art.11, l.cit., produce un abbuono del servizio in favore del docente precario, è anche vero che i servizi inferiori ai 180 giorni non vengo calcolati affatto, a differenza di quanto accade per il personale Ata.
Potrebbe dunque verificarsi il caso di un docente con un servizio di poco inferiore ai 180 giorni, che non si è visto computare tale servizio all’atto della ricostruzione di carriera, ma che si è poi visto applicare la decurtazione di un terzo, legittimata- sulla base delle motivazioni della sentenza CGUE – dal fatto che il medesimo abbia in altri anni prestato sevizio con contratti fino al 30 giugno.
In questo caso, all’abbuono di 2 mesi farebbe da contraltare la mancata valutazione di quasi sei mesi di servizio.
Come si vede, la questione è tutt’altro che chiusa.
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[1] In realtà, il governo italiano aveva anche eccepito la diversa qualità del servizio reso dai docenti precari, in quanto non sottoposti ad una verifica della professionalità attraverso un concorso. Tale eccezione veniva dichiarata infondata dalla Corte, che osservava:
“33. Si deve tuttavia considerare che il fatto di non aver vinto un concorso amministrativo non può implicare che la ricorrente nel procedimento principale, al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, non si trovasse in una situazione comparabile a quella di dipendenti pubblici di ruolo, dato che i requisiti stabiliti dalla procedura nazionale di assunzione per titoli mirano appunto a consentire l’immissione in ruolo nella pubblica amministrazione di lavoratori a tempo determinato con un’esperienza professionale che permette di ritenere che la loro situazione possa essere assimilata a quella dei dipendenti pubblici di ruolo (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C-302/11 a C-305/11, EU:C:2012:646, punto 45).
- Peraltro, l’ipotesi secondo cui la qualità delle prestazioni dei docenti neo-assunti a tempo determinato sarebbe inferiore a quella dei vincitori di concorso non appare conciliabile con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio dell’attività professionale dei docenti a tempo determinato. Inoltre, una simile ipotesi, se risultasse verificata, comporterebbe da parte delle autorità nazionali l’organizzazione di concorsi sufficientemente frequenti al fine di provvedere alle esigenze di assunzione. Orbene, non sembra che ciò accada, dato che, dalle osservazioni presentate alla Corte dalla ricorrente nel procedimento principale, risulta che i concorsi di selezione sono organizzati solo sporadicamente, tenendo presente che gli ultimi hanno avuto luogo negli anni 1999, 2012 e 2016. Una situazione del genere, la cui verifica spetta al giudice del rinvio, sembra difficilmente compatibile con la tesi del governo italiano secondo cui le prestazioni dei docenti a tempo determinato sono inferiori rispetto a quelle dei docenti a tempo indeterminato assunti mediante concorso”.
Del resto, non è affatto vero che tutti i docenti di ruolo siano vincitori di concorso. Proprio la citata legge 124/1999 ha da tempo stabilito che le assunzioni vengono effettuate per il 50% tra i vincitori di concorsi e per il restante 50% attingendo dalle “graduatorie permanenti”, nelle quali sono appunto inseriti i docenti precari.
[2] Sebbene per la maggior parte dei casi si tratta di contratti “fino al termine delle attività didattiche”, vale a dire fino al 30 giugno. In questi casi in realtà il docente precario non svolge nella sostanza un servizio inferiore a quello dei colleghi di ruolo, in quanto lo stesso art. 74, comma secondo, del citato D. Lgs., stabilisce che le attività didattiche, comprensive degli scrutini e degli esami, si svolgono nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 30 giugno, con eventuale conclusione nel mese di luglio degli esami di maturità.
Fatta salva quest’ultima residuale ipotesi (per la quale comunque i docenti percepiscono un compenso a parte) non si comprende quali attività verrebbero svolte dai docenti durante l’estate.
L’assunzione con contratto fino al 30 giugno è di fatto una beffa per i docenti precari, che svolgono lo stesso lavoro dei colleghi di ruolo, senza però essere retribuiti nei mesi estivi.
[3] L’anno scolastico abbraccia un periodo di circa 9 mesi, comprensivo delle vacanze natalizie e pasquali.
[4] “Nella prima integrazione delle graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del testo unico, come sostituito dall’articolo 1, comma 6, della presente legge, hanno titolo all’inclusione, oltre ai docenti che chiedono il trasferimento dalla corrispondente graduatoria di altra provincia:
- a) i docenti che siano in possesso dei requisiti richiesti dalle norme previgenti per la partecipazione ai soppressi concorsi per soli titoli;
- b) i docenti che abbiano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami o di precedenti esami anche ai soli fini abilitativi, in relazione alla medesima classe di concorso o al medesimo posto, e siano inseriti, alla data di entrata in vigore della presente legge, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo. Si prescinde da quest’ultimo requisito per il personale che abbia superato le prove dell’ultimo concorso per titoli ed esami bandito anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge” (cfr. art 2, comma 1, l. n. 124/99, cit.).
[5] “Inoltre, si deve constatare che la mancata verifica iniziale delle competenze mediante un concorso e il rischio di svalutazione di tale qualifica professionale non impone necessariamente di escludere una parte dell’anzianità maturata a titolo di contratti di lavoro a tempo determinato. Tuttavia, giustificazioni di questo genere possono, in determinate circostanze, essere considerate rispondenti a un obiettivo legittimo. A tale riguardo, occorre rilevare che dalle osservazioni del governo italiano risulta che l’ordinamento giuridico nazionale attribuisce una particolare rilevanza ai concorsi amministrativi. La Costituzione italiana, al fine di garantire l’imparzialità e l’efficacia dell’amministrazione, prevede infatti, al suo articolo 97, che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si acceda mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” (CGUE, sent. cit., punto 50).
[6] Nel caso di un precario con 10 anni di servizio, applicando il criterio fissato dall’art. 485, gli verrebbero riconosciuti appena 8 anni di servizio, quando magari lo stesso dipendente ha già ottenuto per via giudiziale il trattamento retributivo previsto nella fascia stipendiale 9-14, determinando così una riduzione della retribuzione a seguito dell’immissione in ruolo.