La Corte d’appello di L’Aquila ribadisce: ”Il servizio pre-ruolo va riconosciuto per intero”.
Anche dopo la sentenza “Motter”
Corte d’Appello L’Aquila, n. 148/2019
Ribadito dalla Corte abruzzese il principio di diritto già affermato con la sentenza n. 407/2018 (in questo sito: https://www.dirittoscolastico.it/corte-dappello-di-laquila-sentenza-n-407-2018-del-07-giugno-2018/, con nota dello scrivente).
Si sarebbe potuto ipotizzare un ripensamento sulla questione da parte della Corte territoriale, dopo la nota pronuncia della CGUE “Motter”(https://www.dirittoscolastico.it/il-riconoscimento-del-servizio-pre-ruolo-dopo-cgue-20-settembre-2018-c-466-17-motter-provincia-autonoma-di-trento).
Ed invero, la pronuncia della Corte Europea, oltre a giungere del tutto inattesa, aveva suscitato negli interpreti notevoli perplessità, evidenti già nella (erronea) ricostruzione della normativa nazionale, lasciando numerosi dubbi interpretativi, di cui si dava atto nella nota a commento.
Con tale pronuncia, la C.G.U.E. aveva affermato:
“La clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva AL MOMENTO DELLA SUA ASSUNZIONE IN BASE AI TITOLI come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”.
Se da un lato tale sentenza ribadiva la perfetta comparabilità dell’esperienza lavorativa dei docenti precari con quella dei colleghi di ruolo – è pur vero che le conclusioni la Corte era giunta si fondavano su due erronei presupposti:
a) che l’art. 485 D. Lgs. n. 297/94 precludesse il computo integrale del servizio pre ruolo solamente ai docenti che non hanno superato una procedura concorsuale ;
b) che l’art. 489 D. Lgs. n. 297/94 costituisse una disposizione di favore per il personale precario, in quanto consentirebbe ai docenti che hanno lavorato per più di 180 giorni di avvalersi della fictio iuris dell’equiparazione ad anno scolastico intero (cfr. art. 11, comma 14, l. n.124/1999).
Infatti, in più di un passaggio della citata pronuncia – nonché nelle stesse conclusioni- si legge che la decurtazione dei due terzi si applicherebbe soltanto ai docenti assunti “in base ai titoli” (e non assunti “in base a titoli ed esami”).
“Dalle informazioni fornite alla Corte nell’ambito della presente causa risulta che, a differenza dei docenti a tempo indeterminato assunti mediante concorso, i docenti a tempo determinato immessi in ruolo in base ad una selezione per titoli possono, ai fini del loro inquadramento in una categoria retributiva, vedersi integralmente riconosciuta la loro anzianità di servizio solo per i primi quattro anni di servizio, mentre per gli anni successivi si tiene conto di tale anzianità soltanto nella misura dei due terzi” (cfr. punto 27 della sentenza).
“A tale riguardo, il governo italiano spiega una siffatta limitazione con la necessità di rispecchiare il fatto che l’esperienza dei docenti a tempo determinato non può essere interamente comparata a quella dei loro colleghi che sono dipendenti pubblici di ruolo assunti tramite concorso” (cfr. punto 42 della sentenza).
“Inoltre, si deve constatare che la mancata verifica iniziale delle competenze mediante un concorso e il rischio di svalutazione di tale qualifica professionale non impone necessariamente di escludere una parte dell’anzianità maturata a titolo di contratti di lavoro a tempo determinato. Tuttavia, giustificazioni di questo genere possono, in determinate circostanze, essere considerate rispondenti a un obiettivo legittimo” (cfr. punto 50 della sentenza).
In buona sostanza, la Corte ha utilizzato quale tertium comparationis il personale assunto in quanto vincitore di concorso, ritenendo che nei confronti di detto personale fosse legittima una disparità di trattamento.
Come si vede, le conclusioni cui è giunta la Corte partono da una ricostruzione normativa del tutto erronea, in quanto la normativa nazionale esclude il riconoscimento integrale del servizio preruolo per tutto il personale (docente o amministrativo) indipendentemente dal fatto che si sia superato o meno un concorso.
Sul presunto trattamento di favore
La difesa erariale sostiene che -godendo il personale precario di una disciplina “di favore” (in quanto l’art. 11, l. n. 124 del 03/05/1999 prevede che:”Il comma 1 dell’art. 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”), la disposizione di cui all’art. 485 D.Lgs. 297/94, che riconosce solo in misura parziale gli anni di servizio pre-ruolo eccedente i primi 4 anni, servirebbe per compensare tale trattamento di favore ed evitare una “discriminazione alla rovescia” nei confronti del personale di ruolo.
Tale assunto è del tutto infondato.
Infatti, tale disposizione- unitamente all’interpretazione autentica di cui all’art. 11, l. n. 124/1999- se è vero che avvantaggia i docenti che hanno lavorato per almeno 180 gg., è altrettanto vero che non considera tutti i servizi resi di durata inferiore ai 180 giorni, come concretamente accaduto nel caso di specie, in cui l’appellato non si era visto computare il servizio svolto negli a.s. 1992/93, 1993/94, 1995/1996, poiché di durata inferiore ai 180 gg. .
In realtà, a ben guardare, il D. Lgs. n. 297/94 contiene almeno due disposizioni discriminatorie e penalizzanti nei confronti dei docenti precari:
– l’art. 485 d.lgs. 297/94, che riconosce solo in misura parziale gli anni di servizio pre-ruolo eccedente i primi 4 anni;
– l’art. 489 d.lgs. 297/94 che considera solo i servizi di durata superiore a 179 giorni.
Pertanto, la disposizione di cui all’art. 489 del d.l.vo n. 297/94, (che consente il computo dei soli servizi superiori ai 180 gg.), già compensa l’equiparazione ad anno pieno dei servizi di durata superiore ai 180 giorni con il mancato computo di tutte le supplenze di durata inferiore ai 180 giorni.
Tra l’altro, la C.G.U.E. non ha considerato che la disposizione di cui all’art.11, l.n. 124/1999 si riferisce al solo servizio di insegnamento.
Per il personale amministrativo (c.d. “personale Ata”), non esiste alcuna norma “di favore”.
Eppure, anche per detto personale, ai sensi dell’art. 569 del D. Lgs. n. 297/1994, è prevista la riduzione di un terzo dei servizi prestati.
Non solo.
Ma la decurtazione di un terzo si applica “a prescindere”, vale a dire anche nel caso in cui un docente abbia prestato servizio per l’intero anno scolastico, rendendo evidente l’errore interpretativo in cui è incorsa la C.G.U.E.
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La Corte d’Appello di L’Aquila ha ritenuto motivatamente di discostarsi dall’interpretazione fornita dalla C.G.U.E. nella citata sentenza.
“Nemmeno rileva che i lavoratori a termine siano stati assunti sulla base di particolari procedure diverse da quelle praticate per le assunzioni a tempo indeterminato, atteso che tale circostanza costituirebbe semmai una ulteriore ragione di disparità di trattamento la quale, a fronte dell’omogeneità qualitativa delle mansioni svolte, resterebbe a sua volta priva di oggettiva giustificazione.
In quest’ordine di concetti, è evidente che, se [la ricorrente] avesse sin dall’origine ottenuto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nei periodi di assunzione a termine, avrebbe goduto di ogni beneficio conseguente sotto il profilo sia retributivo, sia dell’avanzamento di carriera (v. sentenze CGUE C- 177/2010, Rosado Santana, nonché C- 302-205/2012, Valenza, punti da 39 a 49).
“Nel caso di specie, invece, non vi sono elementi di fatto sufficienti a ritenere che la professionalità dell’appellata, sotto questo particolare punto di vista, sia inferiore alla professionalità propria del corpo insegnante a tempo indeterminato, né emergono elementi di fatto che consentano di ritenere che il curriculum lavorativo della [ricorrente] sia tale da rendere oggettivamente giustificata una disparità di trattamento nel riconoscimento dell’anzianità professionale anteriore alla stabilizzazione rispetto a quella maturata successivamente.
Pertanto, avendo l’appellata svolto il servizio pre-ruolo con i medesimi requisiti soggettivi del personale di ruolo, non sono ravvisabili nella fattispecie ragioni oggettive idonee a giustificare una disparità di trattamento nel computo dell’anzianità professionale rispetto al personale assunto a tempo indeterminato.
Ne consegue che l’art. 485, comma 1, d. lgs. 297/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui, escludendo la completa equiparazione dell’incidenza dei periodi di lavoro svolto a tempo determinato ai fini del computo della complessiva anzianità di servizio maturata, determina una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni”.
La Corte territoriale ha inoltre censurato l’operazione ermeneutica proposta dalla difesa erariale secondo cui la decurtazione di un terzo dei servizi troverebbe giustificazione nella norma “di favore” prevista dalla l. n. 124/1999, non essendo possibile individuare la ratio ispiratrice della disposizione di cui all’art. 485 D. Lgs. n. 297/1994 sulla base di quanto previsto da una legge entrata in vigore cinque anni dopo (!).
“Non solo non può individuarsi la “ratio” ispiratrice della disposizione di cui all’art. 485 citato sulla base di una legge entrata in vigore ben cinque anni dopo, ma deve anche considerarsi come questa situazione di miglior favore sia comunque limitata ai primi 4 anni di servizio, e non si estenda agli anni successivi, in riferimento ai quali l’anzianità di servizio viene in ogni caso riconosciuta solo in parte, anche nell’ipotesi in cui il servizio sia stato prestato per l’intero anno”.
Appare sempre più evidente che le (frettolose) conclusioni cui è prevenuta la C.G.U.E.- forse anche in virtù del fatto che è arrivata alla decisione senza acquisire le conclusioni dell’avvocato generale (che andavano in senso diametralmente opposto) e senza discussione in udienza pubblica- sono state determinate da un’errata ricostruzione della normativa nazionale in tema di reclutamento del personale.
Non a caso, l’avvocato generale Szpunar, nella causa Rossato C- 494/17 (udienza del 6 dicembre 2018) non ha perso l’occasione per denunciare le contraddizioni e le lacune della sentenza Motter, evidenziando come la medesima contrasti con altre pronunce della stessa Corte su problematiche analoghe (cfr. ex multis CGUE, ordinanza 22 marzo 2018, causa C- 315/17 Centeno Melendez, punti 68-70) .
Il dibattito giurisprudenziale è destinato a continuare.
Avv. Francesco Orecchioni