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Graduatorie scolastiche. Riconoscimento del servizio militare non prestato “in costanza di nomina”. Illegittime le disposizioni ministeriali sulla valutazione dei titoli.


Graduatorie scolastiche. Riconoscimento del servizio militare non prestato “in costanza di nomina”. Illegittime le disposizioni ministeriali sulla valutazione dei titoli.
Corte di Cassazione
Corte di Cassazione – Ordinanza n. 5679-2020 del 02.03.20

Con l’annotata pronuncia, la Corte ha posto fine all’annosa questione inerente il diritto al riconoscimento del servizio militare[1], disapplicando – in quanto illegittime – le disposizioni ministeriali succedutesi in questi anni in materia di valutazione titoli nelle graduatorie.

Il Ministero, nell’emanare i periodici decreti per l’aggiornamento delle graduatorie, aveva limitato tale riconoscimento del servizio militare alla sola ipotesi che tale servizio fosse stato reso “in costanza di nomina”.

Tali decreti risultavano però in contrasto con norma di legge (segnatamente con l’art. 485, comma 7, del D. Lgs. n.297/1994 -Testo Unico della scuola- secondo cui “il periodo di servizio militare di leva è valido a tutti gli effetti”).

Emergeva ictu oculi l’illegittimità delle disposizioni ministeriali che –contrariamente a quanto disposto da una norma di rango superiore– subordinavano la valutabilità del servizio militare ad una condizione del tutto aleatoria, in contrasto con la legge, che invece ne stabiliva la valutabilità “a tutti gli effetti”.

Tale illegittimità veniva più volte dichiarata dal giudice amministrativo che riteneva che col criterio seguito dall’Amministrazione “si finirebbe per favorire solo coloro che abbiano avuto la buona sorte di effettuare il servizio militare durante l’espletamento di un servizio d’insegnamento”.

“La portata assolutamente generale del 7° comma dell’art. 485 D. Lgs. 297/1994 che non è connotata da limitazioni di sorta, comporta che il riconoscimento del servizio debba necessariamente essere applicato anche alle graduatorie, onde evitare che chi ha compiuto il proprio dovere verso la nazione si trovi poi svantaggiato nelle procedure pubbliche selettive” (TAR Lazio, n. 6421/2008, 8 luglio 2008)

Col successivo riparto della giurisdizione, anche la magistratura ordinaria si orientava in senso favorevole.

Con l’entrata in vigore del nuovo codice dell’ordinamento militare, la questione veniva rimessa in discussione, in quanto l’art. 2050, comma 2, di detta norma stabiliva:“Ai fini dell’ammissibilità e della valutazione dei titoli nei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni è da considerarsi a tutti gli effetti il periodo di tempo trascorso come militare di leva o richiamato, in pendenza di rapporto di lavoro”.

A questo punto, la giurisprudenza si divideva, ritenendo non più sussistente -in virtù della novella- il contrasto tra le disposizioni ministeriali e le norme primarie.

Altra parte della giurisprudenza propendeva da un lato per la non applicabilità al comparto scuola della disposizione di cui sopra (ritenendo invece applicabile l’art. 485 del Testo Unico della scuola, in quanto norma speciale), dall’altro per la non assimilabilità delle graduatorie scolastiche al pubblico concorso.

In particolare, la Corte d’appello di Bologna osservava sul punto: “l’art. 2050, co, 2, nel limitare la valutazione del servizio militare a quello prestato di leva o per richiamo in pendenza di rapporto di lavoro, si riferisce espressamente ai soli concorsi pubblici. E come precisato sia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 11/2011, sia dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, con la decisione n. 3032/2011, le c.d. graduatorie “ad esaurimento” del personale docente della scuola non sono graduatorie costituenti l’esito di una procedura concorsuale in stretto senso (caratterizzata, cioè, dalle tipiche fasi della pubblicazione di un bando di concorso, della valutazione di prove d’esame e titoli e dalla redazione di una graduatoria finale). Trattasi, invece, di graduatorie costituite da un elenco nel quale sono utilmente collocati soggetti già in regolare possesso del “titolo abilitante” per l’insegnamento, conseguito a seguito di concorso, ed in attesa soltanto dell’immissione in ruolo, così che con riferimento ad esse si verte in tema di accertamento di diritti soggettivi dei docenti iscritti nelle stesse, e non già in tema di una procedura concorsuale diretta all’assunzione in un pubblico impiego” (Corte d’Appello di Bologna, n. 442/2016)[2].

La Cassazione- nell’annotata sentenza- propende invece per l’applicabilità della disposizione di cui al citato art. 2050, ritenendo che “anche le graduatorie ad esaurimento, per quanto non qualificabili come concorsi a fini del riparto della giurisdizione (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3032), sono selezioni lato sensu concorsuali, in quanto aperte ad una pluralità di candidati in competizione tra loro, e dunque non si sottraggono, ad una interpretazione quanto meno estensiva della disciplina generale a tal fine dettata dalla legge”.

Tuttavia, secondo la Corte, tale circostanza non sarebbe decisiva, dovendosi piuttosto procedere ad una lettura integrata dei primi due commi dell’art. 2050.

Secondo la Corte, tali commi non sarebbero in contrapposizione, in quanto il secondo comma costituirebbe piuttosto una specificazione, “nel senso che anche i servizi di leva svolti in pendenza di un rapporto di lavoro sono valutabili a fini concorsuali”.

“Una contrapposizione tra quei due commi sarebbe infatti testualmente illogica (non comprendendosi per quale ragione il comma 1 si esprimerebbe con un principio di ampia portata, se poi il comma 2 ne svuotasse significativamente il contenuto) ma anche in contrasto con la razionalità che è intrinseca nella previsione, coerente altresì con il principio di cui all’art. 52, co. 2, della Costituzione, per cui chi sia chiamato ad un servizio (obbligatorio) nell’interesse della nazione non deve essere parimenti costretto a tollerare la perdita dell’utile valutazione di esso a fini concorsuali o selettivi”.

Tale lettura consente di superare la segnalata problematica.
Secondo la Corte, dunque, “l’art. 2050 si coordina e non contrasta con l’art. 485”.

Pertanto, “il sistema generale va riconnesso al sistema scolastico, secondo un principio di fondo tale per cui, appunto, il servizio di leva obbligatorio e il servizio civile ad esso equiparato sono sempre utilmente valutabili, ai fini della carriera (art. 485 cit.) come anche dell’accesso ai ruoli (art. 2050 co. 1 cit), in ogni settore ed anche se prestati in costanza di rapporto di lavoro (art. 2050, co. 2 cit.), in misura non inferiore, rispetto ai pubblici concorsi o selezioni, di quanto previsto per i servizi prestati negli impieghi civili presso enti pubblici (art. 2050, co. 1 cit.); dovendosi disapplicare, perché illegittima, la previsione di rango regolamentare dell’art. 2, co. 6, D.M. 44/2001 che dispone diversamente, consentendo la valutazione del solo servizio reso in costanza di rapporto di lavoro, rispetto alle graduatorie ad esaurimento” (in tal senso, rispetto all’analoga previsione del D.M. 42/2009, v. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 settembre 2015, n. 4343).

*****

Per completezza, vanno segnalati ulteriori profili in ordine alla problematica de qua, su cui la sentenza non prende posizione.

In particolare, la difesa erariale ha più volte rilevato che dalla collocazione dell’art. 485 nella parte del D. Lgs. relativa ai diritti e doveri del personale di ruolo deriverebbe l’applicabilità di detta disposizione al solo personale di ruolo (e al limitato fine della ricostruzione della carriera) .

Tale tesi non appare convincente.

Depone in questo senso in primo luogo il tenore letterale di detta norma (“il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti”).

In secondo luogo – esaminando la struttura del D. Lgs. n.297/1994-, si vedrà che la parte III (“personale”) è composta- per quanto di interesse – da un Titolo I, a sua volta suddiviso in appositi Capi[3].

In particolare, il Capo VI (“Personale docente ed educativo non di ruolo”) regola unicamente supplenze, “retribuzione ed assenze” e “Disciplina”, rimandando con apposita norma di rinvio alla parte relativa ai docenti di ruolo (“Per quanto non previsto nel presente capo, al personale docente non di ruolo si applicano, in quanto compatibili, le norme del presente testo unico riferite ai docenti di ruolo” – art. 541, comma 2, D. Lgs. cit.).

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Resta da sottolineare un ulteriore aspetto.

La tesi secondo cui il riconoscimento del servizio militare spetterebbe ai soli docenti di ruolo si porrebbe in stridente contrasto con quanto previsto dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato, la quale vieta la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ancorchè la medesima sia prevista da disposizioni legislative, regolamentari di uno stato membro o da contratti collettivi (cfr. sentenza n. 11 del 13 settembre 2007 causa n. 307/2005 “Del Cerro”).[4]

La giurisprudenza delle Supreme Corti ha da tempo chiarito come alle sentenze della Corte di Giustizia vada riconosciuto il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità. Tale efficacia va riconosciuta a tutte le sentenze della Corte di Giustizia, sia pregiudiziali ai sensi dell’art. 177 del Trattato (Corte Cost. 113/85), sia che siano emesse in sede contenziosa ai sensi dell’art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. 389/89, come la precedente richiamata da Corte Cost. 168/91; Cass., sez. un., 13 febbraio 1998, n. 1312; più di recente, tra le altre, Cass., sez. II, 2 marzo 2005, n. 466)[5].

Avvocato Francesco Orecchioni

*****

[1] Ci si riferisce sia al servizio di leva sia al servizio civile sostitutivo.

[2] La stessa Corte osservava inoltre: “Il codice dell’Ordinamento militare, di cui al D.lgs n. 66, entrato in vigore il 9.10.2010, prevede all’art. 2268 la “abrogazione espressa di norme primarie”, fra le quali non rientrano gli artt. 62 della legge n. 312/1980 (di cui sono invece abrogati gli artt. 136/151) e 485 del D.lgs n. 297/1994, mentre vi rientra l’articolo 20 della legge n. 958/1986 (la cui disciplina sostanziale è peraltro ripresa e confermata dall’art. 2052).

“Prevede altresì all’art. 2267 la “abrogazione per nuova regolamentazione della materia”, “ai sensi dell’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale”, di “tutte le disposizioni incompatibili o comunque afferenti alle materie indicate nell’art. 1, commi 1 e 3, a eccezione di quelle richiamate dal codice o dal regolamento”. E’ di tutta evidenza che, alla stregua dell’evocato principio costituzionale dell’art. 52, co. 2, le sopra ritrascritte norme degli artt. 62 e 485 cit., non sono affatto incompatibili con la nuova disciplina, che anzi integrano in modo coerente proprio in un settore in questa non regolamentato: quello delle graduatorie per le supplenze nel settore della scuola (lex posterior generalis non derogat priori speciali)

[3] Capo I: “Funzione docente, direttiva ed ispettiva”; Capo II: “Reclutamento”; Capo III: “Diritti e doveri”; Capo IV: “Disciplina”; Capo V: “Cessazione dal rapporto di servizio. Utilizzazione in altri compiti, restituzione e riammissione”, Capo VI: “Personale docente ed educativo non di ruolo”).

[4] Le pronunce della C.G.U.E. si inseriscono in un orientamento ermeneutico ormai consolidato (oltre che nelle note pronunce “Gaviero- Gaviero” e “Del Cerro”, i medesimi principi sono stati ribaditi nelle sentenze “Rosado Santana” (sentenza dell’8 settembre 2011- causa n. C-177/10) e “Valenza” (sentenza del 18 ottobre 2012, – cause riunite C- 302/11 e C- 305/11).

[5] Trattasi ormai di principio consolidato. Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 355/2010, hanno ricordato che “il giudice statale”,“nell’applicare il diritto nazionale”,”deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e delle finalita’ della direttiva europea, onde garantire la piena effettivita’ della direttiva stessa e conseguire il risultato perseguito da quest’ultima”.